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Autore: Carmen
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Date: 18/10/2006
Time: 11.37
Anche a me è piaciuto “Habana Blues” e infatti anch’io penso che sia cubanissimo. Venendo da un regista non cubano, anche se con una mano data da Antonio Pèrez, ha colto in pieno il dilemma del “irse” o il “quedarse”, in questo caso legato al mondo artistico.
Mi è sembrato anche molto realistico il dilemma di un artista cubano, una volta all’estero, di dover scegliere “da che parte sta”, perchè Miami è potente, e l’intransigenza che si trova in molti là, sembra spesso una controparte di Castro. Non ho mai capito come si fa a contestare qualcuno perché è un dittatore, arrivando ad assumere atteggiamenti altrettanto autoritari. E quindi, sembra che ci si deva schierare per forza o da un parte o dall’altra.
Insomma, è più che realistico. Nel contrasto fra i due amici (non mi ricordo il nome dei personaggi), il ragazzo “rasta” è disposto ad assumere il ruolo di oppositore, che non gli appartiene, pur di aprirsi strada all’estero nel mondo artistico. Il ragazzo mulatto si rifiuta, lui non è un oppositore, quindi vorrebbe continuare a produrre lo stesso tipo di musica che ha fatto finora, che può comunque essere definito critica sociale, se si ascoltano i testi delle canzoni, ma che non sono politici secondo lui. Chi conosce Cuba sa che molta gente la pensa così, si lamentano della situazione economica e sociale, ma la politica sembra non c’entrare, come se si potessero distaccare questi aspetti, specialmente in un sistema totalitario.
A un certo punto del film, il ragazzo mulatto dice che lui non vuole fare carriera andando per il mondo “a hablar mierda de su paìs”. Questa è la frase che più mi infastidisce, credo, soprattutto perché rispecchia la mentalità cubana. Criticare il castrismo è “hablar mierda de Cuba”, perché Cuba è Castro, così ci hanno cresciuto. A nessuno nato in democrazia verrebbe da pensare che se non è d’accordo con il suo governo, è antipatriottico.
Quindi, ciò che, diciamo, mi è piaciuto di meno, è proprio il fatto che io mi aspetto che l’arte possa contestare gli stereotipi, le verità “risapute”, i dogma. Mentre il film, proprio per essere così realistico, proprio per mostrare come la pensano i cubani, non può essere di aiuto ai cubani stessi. Perché nessun cubano che la pensi come il ragazzo mulatto, riuscirà a riflettere, alla fine della pellicola, riguardo le coordinate attraverso le quali vede il mondo.
Continuiamo a produrre, dentro e fuori, film e letteratura nei quali i personaggi centrali abbandonano Cuba oppure rimangono nella “nada cotidiana” cubana , è questo non fa che rispecchiare la realtà. Ma, quando cominceremo a produrre dell’arte che proponga personaggi che rimangono e tentano di cambiare qualcosa? Prima ancora che la gente semplice, che i cittadini si decidano a volere un cambiamento, ci deve essere nella mente della gente la possibilità che ciò accada. Da sempre l’arte ha avuto questo compito, e se capisco che gli artisti dentro l’isola abbiano le mani legate in questo senso (in TV soprattutto, perché a teatro il discorso è ben diverso), mi chiedo come mai un regista che decida fare un film di questo genere non riesca a buttare dentro almeno un pochino di questo spirito. Naturalmente è una questione di intenzioni.
Nel frattempo, Cuba rimane quel luogo nel quale vivere nell’inerzia, o dal quale scappare, a cominciare dalla sottoscritta, naturalmente. Ma mi chiedo che ruolo potrebbe avere l’arte in un futuro cambiamento.
Cosa ne pensate? Sono paranoie le mie? (Per esempio, il mio ragazzo ha detto che sono di una pesantezza tale riguardo Cuba, che nulla di quello che vedo mi accontenta...)
Cmq. il film l'ho noleggiato a Blockbuster, si trova tranquillamente in Italia.