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Autore: Vespucci
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Date: 28/04/2003
Time: 11.28
Son qui che guardo ebete il monitor del computer. Mi e’ ostile ,penso. O forse gli sono indifferente, mi guarda e nemmeno lui mi vede. Sto’ usando impropriamente il pc per andare a cercar su internet siti che mi facciano sentire l’alma de Cuba. Ho voglia di cieli bassi con nuvole barocche che portano improvvise tempeste tropicali. Ho voglia del sole sulla pelle, di vecchietti che suonano strumenti improbabili seduti sui marciapiedi delle strade, di ragazze che ballano scalze al ritmo del son. Voglia di bere un mojito a La Boteguida del Medio o di un Daiquiri al Floridita. Ho persino voglia di sentire il puzzo tremendo delle auto alimentate con benzina di pessima qualita’che marciano lente e scorreggianti. Ho voglia di bambini che escono da scuola , calzoni o gonna amaranto, camicia bianca e foulard blu per i piccoli, calzoni o gonna caki per i grandi. Bambini felici di avere un futuro, che non sono costretti a mendicare per le strade, a sniffare colla per annientarsi o vivere nelle fogne per sfuggire agli squadroni della morte come invece capita nelle ricche democrazie sudamericane. Mi accorgo che non mi spiacerebbe nemmeno il leggero olezzo di fogna che c’e’ nei vicoli dell’ Habana Vjeha. Ho voglia di strade piede di Buick, Dodge,Cadillac, Panhard con code lunghissime e sfavillanti cromature anni ’50 che i cubani tengono con religiosa cura. Ho voglia di famiglie che si spostano in sidecar sulla carretera nacional come se fosse la cosa piu’ naturale del mondo. Ho voglia della loro autostrada con le vacche che ci pascolano sopra e non stupiscono nessuno. Ho voglia di campi di canna da zucchero all’orizzonte. Ho voglia di andare a trovare Nena e Meme, due campesinos a cui mi sono rivolto un giorno in cui mi ero perso con il fuoristrada nelle campagne della provincia di Matanzas. Come fosse la cosa piu’ naturale ci hanno fatto entrare in casa, hanno rovesciato sul tavolo ogni ben di dio di frutta, ci hanno fatto visitare la loro casa. Una capanna col tetto di frasche della palma real e le pareti di legno della stessa palma. Due stanze senza mobili, una cucina e una veranda. La scrofa che prende il sole sul patio. Non un vetro alla finestra ,una casa povera eppure dignitosa e pulitissima. Meme continuava a raccontare di cose che non capivo, alla fine mi ha preso per un braccio e mi ha trascinato nei campi a vedere il serpente che aveva ucciso a colpi di machete, serpente che si mangiava i suoi pulcini. Per lui era una cosa cosi’ importante da apparirgli naturale il fatto di raccontarla a me che stupito lo seguivo e non capivo. Quando ce ne siamo andati ci ha riempito il baule dell’auto di manghi, papaye, banane , formaggi e frutti mai visti prima. Da noi se ti fermi nella proprieta’ di qualcuno a chiedere informazioni ti cacciano come fossi un ladro, qui ti riempiono l’auto del loro niente, lo dividono con te come fosse la cosa piu’ normale. Come se ci conoscessimo da sempre. Ho voglia di citrinos, impiegati statali in abito giallo che sulle strade ti fermano se hai l’auto semivuota e ti caricano a bordo gente che aspetta un passaggio, mi son trovato a dare un passaggio ad una pediatra e ad una chirurgo che andavano a lavorare in ospedale, li’ pochissimi hanno mezzi di trasporto propri e ci si arrangia. Ma in fondo e’ bello perche’ ti trovi a chiacchierare con persone che altrimenti non conosceresti mai. Ho voglia di camion con cassoni carichi di persone , come capitava da noi negli anni ’50 nell’Italia dei ricordi di mio padre , tutti che cantano insieme anche se si e’ scomodi e piove. Ho voglia di Juana, la santera dall’abito bianco e dal sigaro puzzolente che per 3 dollari ti predice il futuro all’angolo della cattedrale, ho voglia della vecchina, vera icona dell’Avana, che chiede un dollaro per farsi fotografare con un sigaro chilometrico in bocca. Ho voglia degli altarini di San Lazaro a cui la gente porta bicchierini di ron anziche’ fiori o lumini. Ho voglia dei ragazzini che si tuffano dal Malecon, delle case coloniali, di quel coacervo di razze bianche, nere ,mulatte e cinesi che riescono a vivere in pace senza discriminazione. Ho voglia del triste disincanto dei cubani che sanno che un’epoca si sta’ chiudendo e nulla sara’ piu’ come adesso. Sanno di non essere la Germania dell’ Est o la Cecoslovacchia, nessuno si preoccupera’ della loro integrazione. Perderanno le loro case, scomparira’ il loro lavoro statale da pochi dollari al mese. Il loro futuro e’ la rabbia disperata degli abitanti di Haiti , di Santo Domingo di Porto Rico. La loro arte di arrangiarsi diventera’ mafia, i piccoli furtarelli per vivere diventeranno violenza. Lo sanno, lo sanno bene e si tengono stretto Fidel anche se sanno che non e’ la felicita’. Ho voglia di fumare un sigaro sulle loro immancabili sedie a dondolo presenti ovunque sul patio della loro finca. Ho voglia di sentirli litigare al bar per le partite di baseball, sport nazionale cubano. Ho voglia dei balli sfrenati sul Malecon , la sera. E dei balli a tutte le ore del giorno in ogni luogo, sempre. Ho voglia della spiaggia borotalco di Cayo Largo, dove ti immergi nel Caribe trasparente in un guizzar di barracuda che ti sfrecciano tra le gambe, innocui. O di fare il bagno tra i pesci argentati e i coralli della barriera corallina. Ho voglia della loro indolenza, dei loro ritmi rallentati, del caldo sulla pelle. Ho voglia di gente per la strada a parlare, la sera. Ho voglia di veder le loro case vuote, perche’ loro in casa ci vanno solo a dormire. Mi manca persino la birra Cristal e la tropicola. Mi mancano i cartelloni con le facce di Che Guevara che invitano alla difesa della rivoluzione. Mi manca l’enfasi dei loro accompagnatori quando parlano della loro storia rivoluzionaria, di Fidel, di jose’ Marti’, di Camilo Cienfuegos. Mi mancano i mille aneddoti dei vecchietti; tutti ti raccontano di aver prestato lavoro volontario e di essersi ubriacati assieme a Che Guevara. Mi manca Guantanamera. Mi mancano i sigari ( in verita’ ne ho ancora una scorta), mi mancano le ballerine del Tropicana, le danze all’Havana club- in perfetto stile anni ’50- mi mancano gli indios tajnos. Mi manca la loro capacita’ di accettare con serenita’ tutto quel che capita. Si rompe il pullman? Pazienza, il prossimo che passa ci raccogliera’.Ma intanto piove? Pazienza, tornera’ il sole e ci asciugheremo. Mi mancano le case particular, case private in cui si va’ a mangiare ( abusivamente, perche’ i bar e i ristoranti son tutti statali) e ti trovi a mangiare in sale addobbate con chincaglierie portate da chissa’ chi..foto del duce, gondole illuminate, torri di pisa in miniatura. In una c’era il tavolo bordato con le luci intermittenti che si usano da noi per gli alberi di natale , a centrotavola frutta di plastica fintissima. Mi manca la loro voglia di normalita’, di quella normalita’ che noi chiamiamo stress, inquinamento ,traffico, telefonini impazziti e che a loro manca proprio perche’ non sanno bene cosa sia. Ho voglia di sentirmi del sud del mondo. Ho voglia della loro passione per le belle donne, il ron e il ballo. C’e’ altro nella vita?
A Cuba ci arrivi in aereo carico dei tuoi pregiudizi e delle stupidaggini che hai letto sui libri e sui giornali. Ci porti tutta la tua retorica e la tua presunzione europea. E quando entri in aeroporto rimani stupito. Ti aspetti di trovare una struttura fatiscente, da paese arabo. Invece l’ aeroporto e’ di gran lunga piu’ bello di tanti altri visti in Europa . Ti aggiri spaesato nel grande stanzone e cerchi qualcosa che ti rassicuri. A questo provvede un enorme poster con il faccione di Rainold Messner che reclamizza l’ acqua levissima, purissima ecceterissima. Fanculo anche lui, pure qui… Passi al banco dell’ immigrazione e, sulla scia delle esperienze all'immigration statunitense , ti aspetti un Molosso cellulitico che con aria inquisitoria ti chieda “chi sei che fai che vuoi quando te ne vai ”. Trovi un soldatino gentile che apre il tuo passaporto , legge il tuo nome di battesimo e dice “ Davide, amigo, bienvenido en cuba. Esta’ la primera ves? “ Non ero pronto, non era previsto. Ma come , un regime militare tirannico che mi chiede cortesemente se puo’ mettere il timbro cubano sul passaporto, timoroso di crearti problemi nel caso fossi costretto a recarti negli Stati uniti per lavoro? Mi guardo in giro, cerco la telecamera di “scherzi a parte” e non la trovo. Esci dall’ aeroporto e collassi. L’ aria condizionata che ti aveva coccolato ti abbandona ad un clima umido. Non fa’caldo, ma nel giro di pochi secondi ti trovi gli abiti appiccicati alla pelle. Secondo shock. Ti aspettavi di trovare auto americane degli anni 50, scassate e ruggini. Trovi moderne auto a noleggio e autobus con aria condizionata. Ma come, che mi hanno raccontato? Non era il terzo mondo, questo? L’ autobus procede tranquillo e fresco verso l’ Avana, a circa mezz’ora di autostrada a 3 corsie. Cominci a vedere le prime case dell’ Avana e ti stupisci nuovamente. Sono aperte, la luce fioca da 20 watt esce dalle stanze vuote, deserte. In casa non c’e’ nessuno. La gente e’ tutta riversata nelle strade. Chiedi alla guida che succede, se aspettano qualcosa. Niente. E’ cosi’, loro vivono cosi’. Due milioni e mezzo di persone se ne stanno in mezzo alla strada a chiacchierare tranquille. Te ne accorgerai i giorni successivi, quando girerai per la ciutad vjeha. Tutti in strada a chiacchierare, i bambini che giocano a mondo, a palla avvelenata. Che giocano con niente, in terra. I conti non tornano ,due cose mi colpiscono. Le loro case: c’ e’ tutto , tavolo, sedie, armadio, televisore, eppure manca qualcosa. Manca la gente. E la gente della strada: immobile, non corre indaffarata spintonando come a Milano, sono li’ immobili a raccontarsela. E’ il paese dal socialismo non reale ma realizzato. Dovreste vedere quella gente. Ti incontra per strada e ti sorride. Sorride proprio a te. Ti ferma per strada, vuol sapere chi sei e da dove vieni. Ti chiede della tua vita come se fossero amici da sempre. E ti guarda con certi occhi….Io non riuscivo a capire ( in questo e’ la grandezza dell’ esser donna, mia moglie ha capito subito quello che io non riuscivo a tradurre. Un coacervo di sensazioni che non riuscivo a capire e a tradurre. E la spiegazione e’ stata disarmante, nella sua semplicita’. Cos’ hanno di diverso? OCCHI CHE SORRIDONO,occhi che da noi non ci sono piu’. Semplice. A saperlo vedere) E i bambini. Giocano per terra, in strada. E sono felici. Senza playstation, senza giochini, senza giocattoli, senza computer. Ma felici. Ecco cosa non c’era nelle loro case, la fottuta tecnologia occidentale. Quella che isola e rende soli tutti i ragazzini di qui. Di una solitudine non eroica. Inutile, senza valore. Tante piccole solitudini identiche , ognuna rinchiusa nella propria stanza, davanti al proprio pc. Inutilmente vile. Eppure i bambini di Cuba sono felici, incontaminati, puri. Lontani dalla corruzione di consumismo e materialismo, giocano con nulla, col semplice contatto dei loro corpi e dei loro sorrisi. Hanno occhi che non vi so’ descrivere. Devi andare a vederli. Ma sono felici ,credetemi. E quando la vedrete, Cuba, non potrete fare a meno di adorarla. Sarete vittime del suo fascino senza tempo. Della sua semplicita’. E vi innamorerete, oh si’ , ve ne innamorerete. Vi aggirerete tra i vicoli della citta’ vecchia e non potrete fare a meno di confrontare il vostro sogno rivoluzionario giovanile con la miseria, che pure c’e’. E cercherete di capire, di interpretare alla luce del vostro occhio lucido, razionale , cartesiano. E alla fine butterete i riferimenti, i paramenti, i pregiudizi e vi arrenderete al ritmo coinvolgente della loro musica, vero legame coi vostri sentimenti. E vi troverete a ballare in mezzo alla strada, insieme a loro. Ho provato ad immaginarla per anni, timoroso di veder svanire i miei sogni nella retorica anticomunista. Volevo andare e temevo di andare. Sospeso tra i miei sogni di gioventu’ e gli insegnamenti della storia. Poi ho pensato che il vecchio Fidel non era eterno e che dovevo decidermi, rischiare una cocente delusione ma vedere con i miei occhi. I miei occhi . Voi non lo immaginate. Guardo le foto in cui sono ritratto a Cuba e non mi riconosco. Non sono io, grigio, apatico quell’uomo con 2 occhi blu che sorride felice alla macchina fotografica. Non mi riconosco in quelle foto, non posso essere io.. Vi giuro, non mi era mai successo….e davvero non so’ descrivere cio’ che ho visto, non come meriterebbe. Cuba e’ una magia. Ti entra nell’anima e ti pervade. E’ la felicita’ di vivere che ti rinasce dentro, fa’ di te un uomo nuovo. Mitologia da turista in vacanza, forse. Ma vi assicuro che quello che ho provato laggiu’ e’ scolpito nel mio cuore e nessuno, non le bugie della stampa occidentale, non i presidenti operai da operetta, non le menzogne, le falsita’, le ipocrisie che sul comunismo sono state raccontate dai pifferai magici del regime dei consumi potranno mai offuscare. Io sono felice per aver potuto vedere, anche solo per un momento, i miei ideali realizzati. Nessuno me lo portera’ mai via questo ricordo. Cuba e’ un bel sogno che sta’ per svanire, presto sara’ un bordello per americani danarosi . Ma oggi e’ musica viva. Ho visto cose meravigliose, piccoli dettagli insignificanti , che non ti sto’ a raccontare, che hanno rafforzato la mia convinzione che l’uomo non e’ quel barbaro che trovo tutti i giorni per la strada. Che questa nostra stupida corsa verso il futuro, incapaci di godere del qui e adesso e’ una folle mancanza di cultura, che fa’ di noi dei perdenti infelici. Cuba e’ un sogno, e’ l’isola che c’e’, dopo la seconda stella a destra, poi dritti fino al mattino. Cuba e’ la mia felicita’ quando penso a lei. Cuba sono le lacrime che scendono dai miei occhi ora, mentre da qui la penso.
Yo soy cubano