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I MITI STANCHI DI CUBA...........

Autore: birramoretti
Email: il gusto della sincerita'
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Date: 28/03/2008
Time: 12.25

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I miti stanchi di Cuba: qui finisce la rivoluzione La retorica su José Martí, l'auto-mausoleo di Hemingway: così il castrismo riveste di normalità la difficile transizione 1) In uno dei suoi versi «semplici» — così li intitolava l'autore — José Martí parla, in un'orecchiabile musica da canzone popolare, di un cuore alla deriva come una barca che non sa dove va. José Martí — il Mazzini cubano, scrittore e politico democratico morto in battaglia nel 1895 per l'indipendenza di Cuba e per l'idea di una libera e paritetica comunità dei popoli americani — ha sempre saputo dove andare. Fidel Castro lo definì «l'autore spirituale » dell'attacco alla caserma Moncada, fallito ma prima pietra della rivoluzione castrista. José Martí è ora considerato il padre della patria, anche se il partito unico non combacia col suo pensiero democratico; il Memorial José Martí, iniziato nel 1926, ha un'asciutta severità che si ispira a un senso mazzinianamente religioso dell'attività politica quale missione. Le grandi scritte sui muri echeggiano infatti frasi e immagini evangeliche, dicono che ogni grande movimento di liberazione ha il suo Nazareno e che solo chi è pronto a perdere la propria vita le dà senso e la salva. Ogni regime e ogni società hanno la loro retorica: la libertà, la patria, la giustizia, la pace, la democrazia. Retorica sempre falsa, perché queste nobili cose, di per sé, non esistono. Ma può esistere — così come può invece essere meramente simulata — la forte volontà umana di farle vivere e di renderle capaci di incidere sulla realtà. Anche per questo, e non solo per le goffaggini dei suoi nemici, Castro ha regnato così a lungo: quattro volte e mezzo il Terzo Reich, quasi il doppio di Stalin, non tanto meno della Regina Vittoria e di Francesco Giuseppe. Cinquant'anni di potere dicono comunque qualcosa sulla statura di un leader. Goethe — nella sua ammirazione anche brutale della forza vitale capace di sopravvivere e della lunga età quale espressione di tale forza — se ne sarebbe compiaciuto, anche perché, come dice un suo verso, non faceva lo schizzinoso neppure con gli autocrati. Non è solo per un fatto logistico — l'enorme spazio della Piazza della Rivoluzione, fra il memoriale di Martí e quello di Che Guevara — ma anche per la forza simbolica del luogo che Giovanni Paolo II celebrò qui la Messa dinanzi a una strabocchevole moltitudine. Il rozzo e duro ma geniale pontefice — uno dei pochi ad avere avuto una visione epocale delle attuali e prossime trasformazioni del mondo, a differenza del suo più colto ma più imbarazzato successore — disse la famosa frase ripetuta ora dal cardinale Bertone nella sua visita di Stato: «Cuba si apra al mondo e il mondo si apra a Cuba». 2) Alla Fiera Internazionale del Libro — ma dovunque — è come se le appena annunciate dimissioni di Fidel Castro non esistessero. Come sempre nessuna bandiera rossa, molte bandiere nazionali. È un modo intelligente di difendere la normalità della transizione, unica garanzia contro un eventuale rovesciamento violento. Non è forse un caso che le dimissioni siano state dichiarate in un momento in cui gli Stati Uniti, alla vigilia delle elezioni, sono in una fase di stallo. La Fiera, di per sé, è vivace ma povera; una festa, più sagra di paese che mostra del libro, all'insegna — sembra — della casualità, che alterna dibattiti vivaci a paludate premiazioni, burocrati di partito approdati alla gestione della cultura, con cui poco hanno a che fare, e intellettuali che, nonostante le difficoltà materiali (il costo, la scarsità e il controllo dei libri, lo scarso accesso a Internet, l'ingerenza del potere politico, i problematici trasporti interni nel Paese, gli ostacoli economici e politici ai viaggi all'estero) si dimostrano incredibilmente informati. Victor Fowler, scrittore e saggista, interviene con alcune osservazioni sulla cultura mitteleuropea e la letteratura austriaca che rivelano una conoscenza e un'originalità di interpretazione difficile da trovarsi a Vienna o in altre sedi consacrate. In compenso, una libreria centrale, nella splendida Avana Vecchia (barocca e fatiscente, gloriosa facciata di retrostanti miserie, cantiere di lavori continuamente interrotti) offre una scelta diseguale e misera, pure di autori cubani — alcuni anche grandi — non sgraditi al governo. Soffermarsi sui libri — in un Paese in cui, causa l'embargo e le disfunzioni interne oltre ai vizi presenti in ogni economia di Stato, mancano cose di prima necessità, generi alimentari essenziali sono razionati, povertà e calcinacci spuntano da ogni angolo — è uno sfizio da occidentali pasciuti. Ma non lo è constatare l'alfabetizzazione generale, indiscutibile merito della rivoluzione fidelista. Alfabetizzare un Paese e dargli un'assistenza sanitaria di base non giustifica alcun sopruso e alcuna repressione delle libertà, perché niente giustifica mai niente, ma resta una cosa grande. Chi, giustamente, denuncia gli aspetti dispotici del castrismo, o la povertà in cui versa gran parte della popolazione, probabilmente non l'avrebbe fatto ai tempi di Batista — forse perché l'avrebbe dato inconsciamente per scontato, il che è un involontario complimento per Castro. È brutto che comandi il Partito, ma non era bello che prima comandassero Lucky Luciano e la mafia, ingaggiata pure in innumerevoli tentativi falliti di assassinare il líder máximo. Sono avverso alla pena di morte (e ovviamente a tutte le pene esecrabilmente inflitte a dissidenti e avversari politici, com'è accaduto anche nella Cuba di Castro). Ma nel caso della mafia il mio umanitarismo vacilla e se Castro, nella confusione iniziale, avesse espulso Lucky Luciano non solo da Cuba ma dal mondo, beh... a pensar male, dice Andreotti, si fa peccato, ma non si sbaglia. 3) La diversità multietnica quale valore — questo slogan pappagallesco che da noi sentiamo continuamente ripetere, come un apriti sesamo che mistifica i problemi reali dell'integrazione — qui trionfa con uno splendore regale, proprio perché è una realtà e non un'ideologia. Una varietà sulla quale non si riflette, così come non si riflette sulla vita immediata e quotidiana. L'umanità appare — come pensava Herder, l'amico di Goethe — quale un albero con foglie, fiori, frutti, colori diversi che si mescolano e confluiscono come quelli delle nuvole nel fulgore del tramonto. La bellezza — dice nel suo romanzo. Ultima Playa Atilio Caballero, un narratore cubano di freschissima e creativa originalità — esiste per essere ammirata. L'universo caraibico è un'esplosione di varietà e di bellezza, dal mare ai corpi ai fiori agli sguardi. Se la bellezza, come scrive Dostoevskij, salverà il mondo, ammirarla in modo giusto è già un primo passo. È soprattutto l'elemento nero — che, nelle sue innumerevoli gradazioni, attraversa tutte le categorie sociali e intellettuali ed appare quasi il collante di questo mondo — a far sentire questa bellezza dell'umanità e della vita. Capisco perché, secondo paleontologi e genetisti, discendiamo tutti da un'Eva africana. Eva, la madre, la donna, è nera. 4) Finca Vigía, la famosa villa e tenuta di Hemingway a San Francisco de Paula, nei dintorni de L'Avana. Trofei di caccia, libri, la sua macchina da scrivere, mirabili alberi. La direttrice, Ada Rosa Alfonso Rosales e poi, in un ottimo italiano, la sua vice, Inaury Portuondo Cárdenas, illustrano ambienti, evocano episodi, abitudini. È un luogo di culto, anche per l'appoggio dato da Hemingway alla rivoluzione, di cui baciò la bandiera ritornando a Cuba pochi giorni dopo il suo trionfo. Come molte case dei grandi che già in vita lo erano e sapevano di esserlo, anche qui aleggia il sospetto di un auto-mausoleo, del resto inevitabile, perché, quando la fama bussa di continuo alla porta, ogni gesto assume, anche involontariamente, un altro significato. Con signorile distacco, Inaury racconta che, nella torre bianca, Hemingway si chiudeva per ore con la sua giovane amica italiana Adriana Ivancich (lei e la direttrice sostengono tesi opposte sulla natura platonica o no del loro amore) senza che la moglie di Hemingway — la quarta, credo — potesse disturbarli. Tutto ciò andrebbe benissimo, se anche la moglie avesse potuto fare altrettanto con un suo amico. La trasgressione dell'artista diventa facilmente pretesa filistea di essere l'unico autorizzato a trasgredire e di venire ammirato per questo. L'apparente disordine antiborghese degli artisti è spesso una sopraffazione repressiva e vezzeggiata. C'è un passaggio nella casa dove, a parte i padroni, erano autorizzati a transitare solo il maggiordomo e la capocuoca, non il resto della servitù, gerarchicamente inferiore. 5) Cuba si apra al mondo e il mondo a Cuba. Premesse necessarie, inevitabilmente, la fine di ogni controllo repressivo, l'introduzione — nei tempi consentiti dalla situazione, che non è quella di un Paese scandinavo — del pluralismo politico e dell'iniziativa privata, ora appena accennata, ad esempio in alcuni ottimi ristoranti. Le «dame bianche» in marcia, di cui ha scritto Michele Farina sul Corriere, ossia le mogli di detenuti politici che chiedono la liberazione dei loro mariti, devono essere esaudite. Ma non solo da Cuba bisogna esigere la democrazia. Perché non indignarsi con quei governi e Stati arabi, nostri alleati o no, in cui si decapitano gli omosessuali, si lapidano le nubili incinte, si calpestano i diritti delle donne e in genere quelli civili? Non si vedono in giro molte proteste contro l'Arabia Saudita né molte angosciate attese o propositi di farvi trionfare la democrazia. Perché imitare a rovescio la faziosità degli irresponsabili dell'ultra sinistra, che vedono solo le colpe degli americani e dell'Occidente? L'ondata repressiva a Cuba del 2003 è uno scandalo, ma, ad esempio, lo è pure il fatto che da otto anni le mogli di alcuni detenuti cubani degli Stati Uniti non riescano ad ottenere il permesso di visitare in carcere i loro mariti (e il conseguente visto temporaneo), cosa che non si nega neppure ai famigliari di un serial killer, che non mette in pericolo alcuna sicurezza dello Stato, degrada la pena a tribale vendetta e oltraggia la più grande democrazia del mondo. Che il mondo si apra a Cuba non vuol dire civettare da lontano con icone rivoluzionarie, bensì fare i conti col complesso della realtà cubana e della sua storia ed esercitare in questa luce la critica doverosa. Quando si va alla Baia dei Porci, a Playa Girón, e si vedono i luoghi dello sbarco, le mappe dei tre giorni dell'epica battaglia, non dispiace certo che Machiavelli abbia avuto ragione parlando della superiorità delle milizie popolari su quelle mercenarie, come quelle buttate a mare in questa baia anche perché probabilmente il malaccorto invasore aveva sottovalutato con supponenza, in quel momento, la forza del patriottismo e il consenso popolare. Neppure quest'ultimo, ovviamente e giustamente, dura in eterno. Nell'inevitabile e sperabilmente graduale transizione, è augurabile che a nessuno venga l'idea di fomentare e cercare altri guai. Claudio Magris


Ultimo aggiornamento: 01-04-08