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Re: Interminabile attesa!!

Autore: frengo
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Date: 21/10/2006
Time: 05.24

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Caro Capitan, ti mando dei piccoli stralci di un mio scritto. Come potrai vedere in quel periodo della mia vita tutto era nero, ma poi venne il grigio e alla fine il giallo. Non mollare e trovati dei passatempi che non ti tengano la testa sempre lì, programma già ora il tuo futuro con la tua famiglia e pensa, anche se può essere retorico, che c’è chi una famiglia l’ha persa. Tu la devi “solamente” ricomporre. Hai una intera vita davanti. Auguroni.

Da “Una storia straordinariamente ordinaria”

La contraddizione, che tanto sconcerta il modo di pensare ordinario, deriva dal fatto che dobbiamo usare il linguaggio per comunicare la nostra esperienza interiore, la quale per sua stessa natura trascende la possibilità della lingua. D.T. Suzuki

Barona, ex estrema periferia industriale, numero 16 interno B, monolocale, arredo moderno, stile architetto in pensione. Solo con il mio Balla, salvatore di tutte le angosce. Solo lui ha la forza di rendere fluida questa penna a sfera. Lui è lì, aspetta che il suo padrone abbia rivisitato i luoghi e le situazioni, cercando una chiave impossibile da trovare, ricercando un luogo di pace dove rifugiarsi. Lui è lì, aspetta il suo turno, sa che alla fine dopo aver scandagliato i luoghi più remoti della ragione, dopo avere colpevolizzato e giustificato, autocolpevolizzato e autogiustificato la sommatoria sarà nulla e allora lui godrà della prerogativa di riportare la pace e la nebbia in un corpo celebrale troppo piccolo per contenere risposte, troppo male attrezzato per fornire verità. Domani è un altro giorno.

Il giorno viene, la sveglia suona ma la molla, l’ipotesi, il progetto che dia linfa vitale all’essere non c’è e l’essere si riadagia supinamente finché il sole che taglia la finestra non lo violenta con la sua luce. Oggi è un altro giorno.

Svogliatamente l’essere rassetta le sue cose, come un androide si inserisce nel traffico di una città di fatta gente che ha avuto un motivo per alzarsi, tutti dentro alle loro macchinine, pronti a sbranarti al minimo errore. In ufficio si incontra con gente amica che lavora svolgendo diligentemente le proprie mansioni. L’essere comincia a cincischiare in cerca di un lavoro il più virtuale possibile, che occupi lo spazio temporale fino al momento di fuggire da questa assurdità e sperare che una volta arrivati nel monolocale gli resti almeno la voglia di concentrarsi tra le righe di uno dei cinque libri aperti senza che la mente farfalleggi nel passato, presente e futuro. Questa è un altra sera, vuota come tante altre.

Forse troppo tardi, senza dubbio in ritardo ci si accorge che questo amore per i figli, anche se esiste allo stato puro in natura, deve essere coltivato, giorno dopo giorno, attenzione per attenzione, cosa dopo cosa. Questo non garantisce certo l’amore dei figli ma fa sì che questo rapporto prenda corpo, fisonomia, forma e sostanza. Non è sufficiente essere un bravo genitore col senso del dovere, andare a lavorare tutti i giorni, tornare stanco, così stanco che si vorrebbe trovare una casa piena di sorrisi e disponibilità. Invece anche gli altri hanno fatto la loro giornata, di lavoro o di gioco e si vede un solo miraggio: il divano e poi il letto.

Vittima o canefice si chiede l’essere? Nessuno dei due naturalmente. Tu vieni da lontano, si dice, dall’abisso del bisogno di affettività, dall’esigenza di dare risposte concrete e immediate, dalla maledetta necessità di dare un senso tangibile alla vita. A questo ora hai risposto. La vita non è tangibile e il suo senso è quello che noi gli vogliamo dare. Tu ci hai provato, con l’eliminazione culturale del bisogno di un nemico, guardandoti allo specchio per dirti che sei uno dei tanti né il più bello e neppure il più brutto, guardandoti dentro per lasciare uscire senza impedimenti il tuo essere nascosto, ma le ferite, quelle profonde sono dure da rimarginare, la conchiglia che si arricchisce rimarginando le sue ferite è solo un luogo comune dei romanzi rosa.

Si alza, apre il frigorifero cercando qualche alimento che non gli faccia nausea e mentre il telegiornale ritrita le solite notizie ripensa a quello strano e indefinito momento in cui l’essere dentro lasciò che le sue sensibilità uscissero allo scoperto e allora si ritrovò, vulnerabile, solo, a piangere sulla tomba della zia di Merano o a provare senzazioni emotive forti di fronte alle immaginette cimiteriali dei parenti dei suoceri. Questo avveniva nello stesso corpo dello stesso essere dopo 45 anni dalla sua apparizione sulla terra.

Molto tardi tu hai imparato a non farti violentare più dalle idee affascinanti, a lasciare che il nuovo entri nell’anticamera del cervello, faccia molta sala d’aspetto mentre i dubbi, armati di tuttopunto come anticorpi spietati indagano su di lui per vedere se dargli il pass per entrare nel secondo livello, quello dell’Io. Hai imparato a tue spese che se si tenta di ingabbiate le parole dentro a degli schemi detti ragionamenti l’intuito che ha generato l’idea perde vigore fino alla totale asfissia del ragionamento o alla sua sostituzione con uno schema di comodo. Meglio quindi lasciare che le idee fluttuino “anarchicamente” nel nostro apparecchio ricevente senza prendere una precisa forma consolidata; meglio lasciarle in uno stato “gassoso”, libere di entrare come di uscire e constatare di volta in volta il nostro Tao.

Nel lento affluire dei pensieri della scatola celebrale arriva a comprendere come i problemi che appartengono a una macchina complessa come la mente umana non hanno una risposta. I dettagli, l’intenzionalità delle azioni, le circostanze in cui sono maturate concorrono alla formazione di una risposta possibile, la più dubbiosa possibile, la più lontana dall’intolleranza, la più vicina all’amore.

Benedetta autostima! Tutta colpa sua. Da quando si è convinto di non essere più stupido degli altri stupidi ha cominciato a esigere dalla vita una ragione per essere vissuta. La famosa ricerca della felicità tanto divulgata dai filosofi. Ha costruito delle cose che hanno procurato soldi, è uscito dal punto di vista sociale dall’anonimato, ma di lei, della felicità neanche l’ombra. Non capiva che la felicità o un suo parente stretto è come un fantasma che sempre ti accompagna a braccetto come un amico nel bene e nel male. Ma, come si fa a riconoscerla?. Ora, solo ora, che forse è tardi sa che essa risiede innanzitutto nel volerla raggiungere ossia nell’ottimismo della vita, nel non prefigurare sciagure a ogni piè sospinto, nel riconoscere negli affetti che ci circondano (se ci circondano), un grande valore, nel apprezzare anche le banalità che possono essere qualsiasi cosa: pescare, raccogliere francobolli o cose più importanti come: leggere, il cinema o il teatro. Il rilassarsi davanti a un panorama, l’entusiasmarsi di fronte a un piatto ben cucinato. Il piacere parte dal cervello ma il comando dei neuroni parte dalla nostra pace interiore.

L’essere capisce che ci sono zone sconosciute del pianeta mente che sono abitate da mostri. Sono i mostri dell’egocentrismo, quei mostriciattoli ci dicono che sono sempre gli altri che devono dare. Mai esporsi in prima persona, potresti perdere il potere! Mai chiedersi: e io ? Potrebbe significare la fine. Mai contare gli anni che ti mancano nella vita reale prima di diventare un vegetale o cibo per i vermi. Potrebbe significare la fine. Mai mettersi in discussione, potresti perdere il potere!

La saggezza è il compimento di un delicato equilibrio tra ragione e emozione. I componenti e i dosaggi di questo equilibrio possono essere diversi e non garantiscono nessun passaporto per la felicità.

Però, si dice l’essere, dove credevi di andare? Tu così pieno della tua intelligenza, così pieno della tua ignoranza. Eppure ne avevi fatta di strada per metterti sulla careggiata della saggezza, del piacere di vivere. Ti eri addirittura riinnamorato di tua moglie. Avevi appreso a ordinare i tuoi interessi esistenziali nel modo giusto. Avevi dismesso quel poco di orgoglio come elemento non indispensabile. Avevi quietato la tua angoscia congenita con un misurato senso fatalistico. Avevi rivoluzionato il tuo carattere cercando con relativo successo di abolire i musi. Avevi compreso che la tolleranza verso l’altro non é una autolimitazione ma un atto d’amore e una limitazione del proprio egocentrismo; E allora perché?

La maturità, nel suo ultimo stadio mi pone la domanda: “A Mascé, che stai facendo? Per chi lo stai facendo? C’hai cinquant’anni. E calmate! Ma questo era l’epilogo di una ennesima crisi. Crisi di identità, la maledetta identità per la quale io non solo ero scomparso come individuo pensante ma dovevo provvedere ai bisogni di tutti: ditte, soci, dipendenti, famiglia e non riuscivo a soddisfare nessuno. Arrivi a casa a quattro zampe, sfinito dallo stress da lavoro e ti senti rimproverare. Arrivi al lavoro e ti senti inadeguato a rispondere ai bisogni dei singoli e dell’impresa, nata come un giuoco, come una scommessa con te stesso che ti trascina per inerzia verso mete sconosciute.

Ricordo un anno che non so, la famiglia era al mare, mi svegliai come ogni mattina senza sveglia, in bagno un flotto di sangue mi uscì dalla bocca. Ecco, ci siamo mi dissi mentre le gambe mi cedevano, il tumore al polmone è arrivato infine. Mi spostai nella camera, mi sedetti sul letto e per la prima volta capii il senso della mortalità. Ciò che mi stupì fu che a quei brevi attimi di paura subito seguì il senso del dovere e mi ritrovai tre secondi dopo a pensare a come garantire la famiglia dopo la mia morte che non sarebbe avvenuta.

A chi mi crede una roccia vorrei dire: sono un essere umano! In un mondo di lupi quale è diventato o ridiventato il nostro, vi sono esseri umani che sono degni di viverrci. Esseri superiori per scelta, cinici. Loro mai alzerebbero una cornetta telefonica per un sussurro umano, per loro l’umanità è solo quella scritta sui libri, è teoria, astrazione; mai potrebbero manifestarla perché non è dentro di loro.

Balla mi ricorda: e il Brasile? Era come se ti sembrasse il solo mondo fatto di esseri umani ? Si dico io ma solo perché l’umanità si è persa dalle nostre parti. L’umano mediterraneo si è svuotato della sua umanità, è diventato un ingranaggio di quella gigantesca macchina di sopravvivenza in cui non riusciamo più a distinguere i bisogni dai sentimenti, le libertà dalle responsabilità. E alla fine il buio, le tenebre, il vuoto. Allegria, allegria. Ma che bella vita è questa! Balla, traballa quanto vuoi, Balla fin che puoi

Qualsiasi via è solo una via. Provala tutte le volte che lo ritieni necessario. Quindi poni a te stesso soltanto una domanda….. Questa via ha un cuore? Se non lo ha, non serve a niente. Carlos Castaneda

N.B.

Balla è l’wisky Ballantimes

Ultimo aggiornamento: 16-11-06