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Cittadinanza: valutazioni tecniche vs etiche

Autore: Marco_blanqui_fresco
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Date: 09/03/2004
Time: 03.46

Commenti

Il riferimento è la L. 5 febbraio 1992, n. 91.- Nuove norme sulla cittadinanza (e successivi regolamenti attuativi).

In particolare l’ART. 5 - 1. Il coniuge, straniero o apolide, di cittadino italiano acquista la cittadinanza italiana quando risiede legalmente da almeno sei mesi nel territorio della Repubblica, ovvero dopo tre anni dalla data del matrimonio, se non vi è stato scioglimento, annullamento o cessazione degli effetti civili e se non sussiste separazione legale.

La legge prevede i casi in cui si ha DIRITTO a chiedere la cittadinanza, cioè i requisiti.

Poi indica i casi nei quali:

ART. 6 - 1. Precludono l'acquisto della cittadinanza ai sensi dell'articolo 5 etc ….

Quindi se si hanno i requisiti, e non si rientra nei casi di preclusione, la cittadinanza è un diritto. Cioè non può essere negata a meno che:

1) non si hanno i requisiti

2) si rientra nei casi dell’art. 6 (preclusioni)

In questo senso vanno intesi gli ACCERTAMENTI.

La concessione è un istituto giuridico differente, se non ricordo male non configura un diritto ma la possibilità di fare qualcosa (tipo ad edificare), è onerosa, e vaghi ricordi assortiti di studi ... ma qui mi aspetto interventi di chi è più ferrato in materia.

POI si può entrare nel merito, su quelle cubane che si comportano male, sul fatto che molte sfruttino il matrimonio solo per andarsene nello Yuma e poi dileguarsi (ma questo dovrebbe essere l’ABC da sapere, prima di fare una scelta del genere), su quelle che avuta la cittadinanza finiscono sui marciapiedi (ma più probabilmente in certi "locali" latinoamericani stile salsa/merengue mojitos "ritroviamo l'atmosfera dei tropici"), e via di seguito, ma va ben disgiunto il discorso tecnico sulla cittadinanza da quello etico & morale.


Aggiornato il: 10 dicembre 2011