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RACCONTO parte 2

Autore: Ricky
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Date: 02/02/2004
Time: 06.04

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Non si vive di sola… papaya

Era quasi la fine del mese di maggio, e siccome avevo parecchio tempo mi fermai all’Avana. L’avevo vista di sfuggita un paio d’anni prima e mi era piaciuta, mi era piaciuta molto ma non avevo capito niente. L’Avana è grande, forse troppo, è bellissima nei suoi palazzi, nelle sue strade, nei suoi angoli, nei suoi parchi, e nella sua decadenza, l’Avana è la capitale, è un altro mondo, ma l’Avana non è Cuba, è qualcosa di diverso, sono diversi i colori e gli odori, è diversa la gente ed è diverso come parla la gente, di qui passano tutti, è un grande mercato, cubani che vendono e stranieri che comprano, è uno dei pochi posti dove spesso anche i cubani comprano, ma sempre da altri cubani che vendono, a l’Avana tutto costa caro, soprattutto le puttane, anche le orientali nella capitale valgono di più, la jinetera palestina viene a l’Avana con l’idea di arricchirsi, idea per un motivo o per un altro spesso sbagliata, magari dopo una settimana di lavoro le vedi andare in giro con vestiti nuovi e collane di oro 14 al collo, poi le rivedi in palestina che non hanno rimasto più niente, a volte non hanno nemmeno i pochi pesos per rientrare con la guagua, così montano su di un camiòn e si fanno montare dal camionista habanero di turno per pagarsi il passaggio. Una cosa che non mi piace tanto dell’Avana è la sua gente, un po’ freddi, abbastanza distaccati, molto interessati, non mi piace la plaza de la revoluciòn, soprattutto il primo maggio quando ti passano in mondo visione il comizio idioda dell’uomo con la barba, non mi piace il porto perennemente e desolatamente vuoto con quell’odore di nafta che sembra sia stata buttata lì da qualcuno che voglia far credere che le navi che entrano siano ancora tante, mi piacciono invece tanto i bambini che giocano a pelota nelle strade di Centro Habana, e mi piace ascoltare qualche vecchio che seduto su di una panchina nel Prado, fra una storia e l’altra mi ha consigliato di tornarmene in palestina…

il vecchio Antonov di Cubana de Aviaciòn che mi ha portato a Santiago, pur non essendo il massimo della tecnologia, ancora una volta ha fatto bene il suo dovere… personalmente Santiago non mi piace, non la conosco tanto bene e forse è per questo che non mi piace, quando riuscirò a conoscerla meglio penso che continuerà a non piacermi, il colore predominante di Santiago è il nero, è nera l’acqua del porto, sono nere le poche navi nel porto, sono neri i muri delle case vicino al porto, sono neri i ragazzacci che ti vogliono vendere quasiasi cosa, e sono nere anche le puttane, azz… non avevo mai visto così tante cose nere in vita mia… poi finalmente ho capito che il mio posto è la provincia…

La casa in centro, o quasi in centro, non era delle peggiori, il bagno era servito anche da una modesta doccia, e perlomeno l’acqua scendeva dall’alto, acqua non calda naturalmente, ma a che sarebbe servita l’acqua calda in questo posto? quella stessa sera uscimmo, fino ad un luogo imprecisato, a mangiare non so cosa in un posto che non saprei dire che cos’era, lungo il cammino tutto era strano, nuovo, nuovo per me che non ero abituato, i pochi colori si mescolavano con i tantissimi odori ed i tantissimi rumori, ad ogni passo cercavo di capire qualcosa che non potevo capire, però potevo vedere, vedere cose nuove e cercare di capirle anche se non ci sarei mai riuscito. Nel cammino del ritorno mi colpì il lento sferragliare di un treno, un treno che non saprei dire se era merci o passeggeri, credo che fosse entrambe le cose, andava lento, molto lento, forse stava entrando in stazione o forse no, forse non sapeva neppure lui dove fosse la stazione, qualcuno stava su quel treno, qualcun altro stava aggrappato di fuori e sembrava facesse parte del treno. Riuscii a dormire, Yudy stava vicino a me, dormiva bene nella normalità in cui era abituata, ero io che non ero abituato, però dormivo bene, e mi sentivo bene. Il mattino seguente cominciai a pensare all’estrema semplicità delle cose e delle persone, cose che ignoravo e persone che non conoscevo, come quando venne a bussare una vicina di casa con in mano una specie di pentola piena d’acqua, in cambio di uno spicciolo Yudy mise l’acqua della vicina nel suo frigorifero, una cosa per loro così normale che a me sembrava così strana, forse il frigor della vicina era rotto, no, era solo che la vicina non aveva il frigor, e come lei ce n’erano degli altri. La città era bella, ci trasportava un bicitaxi, le piazze sempre piene di gente, le chiese quasi diroccate ma piene di fascino, tutto era in riparazione, e chissà fino a quando, un parque così pieno di verde e così vuoto di gente, dove dentro l’aria era diversa dal vicino frastuono della calle Republica, era un’aria quasi fresca ed era bello respirarla. Le tante panchine erano quasi vuote, da un angolo del parque si intravedeva un bellissimo palazzo, sembrava fuori posto dal tanto che era bello, imponente ma non troppo, con un colore giallo quasi arancione ed i balconi bianchi, davanti il prato verde molto curato, sembrava uscire da una favola o forse nella favola era solo entrato e non ne sarebbe mai più uscito, da lì entravano ed uscivano le quindicenni avvolte nei vestiti di pizzo e nei gioielli di scarsa bigiotteria, da lì entravano ed uscivano le stesse ragazze quando si sposavano, con gli stessi vestiti e gli stessi gioielli, a volte le due feste si celebravano insieme e a volte no, da quel palazzo uscivano sogni lunghi un giorno, sogni stampati su una foto che fa sembrare belle anche quelle che non lo sono, sogni che molto raramente si avverano perché il giorno dopo si torna a fare i conti con una realtà dove la favola viene sostituita dal lento sopravvivere quotidiano, e di quella favola non rimangono neppure i vestiti ed i gioielli perché verranno usati nella favola successiva. Ma la città era bella davvero, forse la più bella di tutto l’oriente cubano, bella nella semplicità delle piazze, dove case che sembrano tutte uguali ma di colori diversi si stagliano nel cielo che è di un azzurro immenso, un azzurro che a volte lascia vedere le nuvole perfettamente bianche, bella nell’architettura delle chiese, forse quasi tutte uguali tra loro ma diverse per culto religioso, bella nei misteri delle sue strette vie del centro dove anche se ci si vive a volte ci si continua a perdere, bella nei suoi mercati dove fare la spesa non è una cosa asettica, tutto viene guardato, toccato, ragionato, mi trovai a portare un sacco di yuta che già era pieno per metà di tante cose quando incrociai gli occhi con una mulatta che stava seduta su di uno sgabello vicino alla sua bancarella, i suoi occhi erano di un nero bellissimo, mi guardavano con stupore e forse anche con odio per ciò che ero io e per quello che stavo facendo lì, forse già da quel momento capii inconsciamente il perenne rapporto di amore ed odio che avrei sempre avuto con questo paese…

La strada era più che dignitosa fino a Moa, meno dignitosa è la città che sembra un’enorme periferia interrotta qua e là dalle alte ciminiere delle fabbriche di nichel, proseguendo verso Baracoa la strada non è più una strada, diventa una via crucis, se gli ultimi 50 km li avessi fatti a dorso di mulo probabilmente sarei arrivato prima ed avrei evitato di rompere due gomme della macchina con annessi e connessi, è stato un vero calvario, arrivato finalmente alle porte del paese avevo finito tutte le madonne, anche il ragazzino in bicicletta che aggancia i turisti per la casa particular dei genitori mi guardò in modo patetico vedendo la direzione da cui venivo, sì perché la gente normale arriva a Baracoa passando da sud, e solo uno sfigato come me poteva arrivare qui dopo 50 km di pietraia, a questo punto la città non poteva non piacermi dopo tutta la fatica che avevo fatto. In effetti Baracoa è bella, ed oltre ad essere bella ha un fascino particolare, affascina la sua semplice bellezza, di una semplicità infinita, qui l’odore del cacao e del caffè prevale sul profumo delle puttane, Baracoa è bella anche perché ci sono poche puttane, e sono belli anche i suoi dintorni, dopo un paio di spiagge deserte e tanta campagna rilassante, si arriva a Boca de Yumurì, dove si può risalire il corso dell’omonimo fiume e fare il bagno nelle sue acque fresche e incredibilmente trasparenti… magari queste cose non sono tanto interessanti per chi continua dopo anni ed anni a scoparsi sempre le stesse troTe negli stessi posti, ma in fondo è meglio così… La farola è una strada che non si può dimenticare, il nastro d’asfalto disegna curve degne di un passo alpino, sale, scende, poi risale, e poi riscende, si addentra in una natura di una bellezza incomparabile, sovrasta scorci di panorami mozzafiato, ogni tanto guardando in basso vedi una casa, da sola, con il tetto di paglia, qualche attrezzo agricolo nelle vicinanze, qualche animale domestico che scorrazza lì intorno, il tutto immerso in un verde impressionante, palme e alberi di banane che a volte circondano piccoli laghetti, l’aria è fresca, quasi fredda, ti fermi e pensi al paradiso, pensi a come sarebbe bello vivere in quel paradiso se fossimo in un paese normale…

Mayarì è un paesino davvero grazioso, la cosa ottimale sarebbe arrivarci dopo essere passati da Alto Cedro, Marcanè e Cueto, ciò non è sempre facile perchè bisogna mescolare la cultura geografica con quella musicale, la prima è più difficile da imparare, in quanto qui in oriente le strade sono in condizioni quasi pietose, i problemi fondamentalmente sono due, buche enormi che si materializzano all’improvviso sotto le ruote della macchina, e la segnaletica stradale quasi sempre inesistente, ad ogni incrocio è una lotteria, però trovi sempre qualcuno che ti indica la strada giusta perché i cubani vivono per strada, è incredibile quante fighe si conoscono per la strada, a volte da un piccolo passaggio può nascere un grande amore o per lo meno una bella scopata…

Carretera de Jobabo, kilometro 7, barrio el nispero, quando arrivai il sole era già tramontato, e anche l’uomo del taxi ebbe non poche difficoltà a trovare la casa, vista da fuori si capiva a malapena che era una casa, quasi in piena campagna, quasi immersa nell’erba alta, quasi avevo paura ad entrare, poi lei mi venne incontro, aveva appena finito di lavarsi, i capelli molto neri e molto lunghi erano bagnati e profumavano di buono, ce ne andammo in città e ci fermammo a casa di una sua zia, non ero mai stato in quella casa, e non ero mai stato al barrio Sosa, però in questi posti mi ci trovai molto bene, Las Tunas più che una città è un paesone, è tutta pianura e tutto è piatto, non c’è niente che valga la pena di vedere, però a me piaceva, non so perché ma tuttora ho rimasto un rapporto privilegiato con questa città, di solito il turista tunero è attratto solo dalla discoteca e dal Taino, quando invece potrebbe essere più interessante passare qualche ora di giorno nelle vicinanze del Diamante, e qualche ora di sera alla Mantilla, forse in mezzo alle troTe potrebbe nascondersi anche qualcuna che lo è leggermente di meno… anche fuori città non c’è molto di interessante, quindi fortunatamente non è facile incontrare altri turisti in posti come Jobabo, Colombia e Amancio….. qualche sfortunato turista invece lo si può vedere sulla strada che dopo l’aeroporto porta a La Veguita, perché è il primo posto dove si va a cercare la novia quando non è in casa….. se anche lì non la si dovesse trovare... a questo punto non rimane che provare a Cotorro a Ciudad de La Habana...


Aggiornato il: 10 dicembre 2011